Rispettivamente il 4 ed il 5 marzo 2023 
Lucio Dalla e Lucio Battisti, entrambi giganti della storia della musica italiana, avrebbero compiuto 80 anni.  Immensurabile é il vuoto artistico ed umano che ci hanno lasciato. Senza togliere nulla all‘indiscutibile talento di Dalla, la mia predilezione, per ragioni di carattere sentimentale e biografico, é per Lucio Battisti. Il binomio perfetto tra una musica che trascende sonorità ordinarie, valicando così i limiti della moda di una generazione, e la poesia del suo paroliere Mogol che coglie l‘essenza dell‘uomo di ogni tempo, ha prodotto capolavori che profumano di eternità. Su tutti, l‘album datato 1970, „Emozioni“.

Emozioni però é molto più di un disco che raccoglie canzoni di grande successo. Emozioni é molto più di una singola canzone di successo.

Emozioni é la parola perfetta per sintetizzare e contenere, come uno scrigno prezioso, la forza dell‘inesprimibile, il mio personale indicibile, il moto interiore che mi accompagna dagli anni dell‘infanzia e che quelle canzoni ancora oggi vanno delicatamente a toccare. So bene che sono parte di una memoria collettiva ma se é vero che la poesia é di chi la legge, mi sento di asserire che quelle canzoni sono un‘importantissima privata colonna sonora della mia vita. Ritrovo in ogni nota il mio personale spartito ed in ogni strofa il richiamo di memorie indelebili. Nell‘incontro armonioso tra melodie e parole l‘effetto nell’anima non può che definirsi come emozione!

Il primo ricordo coincide con i lunghi viaggi delle vacanze estive ed una piccola, melanconica lacrima si ferma a metà tra il pensiero e la scrittura. 

Su un‘autostrada assolata, stretti in 5 su un‘Ascona 12 senza aria condizionata, da Torino all‘estrema punta della Calabria, la musica ci allietava. Nel mangiacassette incorporato nell’auto si alternavano Claudio Villa e i Genesis, l‘Orchestra Casadei e Santana (tollerato perché Samba Pa Ti piaceva anche a mio papà). Una facciata ciascuno, per non imporre i propri gusti musicali troppo a lungo. Battisti, però, metteva tutti d‘accordo. „Dolce di giorno….“, la canzone che apriva l‘allegria generale. 

“Per una lira….“ e via, tutti a cantare. 

Non sapevo ancora che quell‘immagine di me bambina stretta in mezzo ai miei due fratelli sul sedile di una macchina in viaggio e la musica ad accompagnarci, sarebbe diventata  una fondamentale metafora della mia esistenza.

Quando era il turno di „Fiori rosa, fiori di pesco“ il battito del cuore accelerava con quel crescendo di fiati e la voce di Battisti sempre più roca e graffiante, un urlo da melodramma pop che tanto mi piaceva imitare, anche se la mia mente di bambina non capiva chi fosse „il signore“ della canzone a cui Battisti-cantante chiedeva scusa. Solo in seguito, molti anni dopo, conoscendo gli inganni dell‘amore, avrei potuto comprendere. 

La musica era una presenza costante in famiglia, direi necessaria. La mia precoce educazione musicale, che ha toccato ogni genere possibile, la devo principalmente ai miei fratelli. Grazie a loro, anche attraverso la musica, ho potuto aprirmi ad una visione del mondo mai banale, apprendere il valore del pensiero libero e curare con devozione la profondità dell’anima. Ho ricevuto un prezioso manuale di istruzioni ed anche la facoltà di emanciparmi da esso, per poter scrivere il mio libro personale. Sicuramente sono tanti i brani e gli autori che mi riportano a questo apprendistato esistenziale, ma le canzoni di Battisti hanno un primato in questo senso, l‘effetto di una madelaine di Proust. Emozioni. Forti emozioni.

L‘inizio dell‘adolescenza, ancora l‘estate, il gruppo di amici riuniti a cantare intorno al falò sulla spiaggia. Battisti e le sue canzoni immancabili protagonisti, c‘era sempre una chitarra con gli accordi giusti e tante voci più o meno intonate che sapevano i testi a memoria. 

La più gettonata era „La canzone del sole“ e in quel „Sono una donna ormai“ la mia rivendicazione gridata al cielo, anche se donna ancora non ero.

I miei amori sgangherati di gioventù sono raccolti in un ideale album di fotogrammi, più che di fotografie, da sfogliare riascoltando i mille amori malati, difficili, finiti cantati da Battisti. Perché se amarsi un po‘ é facile come bere, „volersi bene, no, é difficile quasi come volare“ e di nuovo un crescendo sofferto di voce e parole che culmina nel „veramente noi, vicini ma irraggiungibili“ che diventa il finale obbiettivo da raggiungere. Sempre. 

Il dolce lasciarsi cullare tra letteratura e filosofia, così lontana dal luccichio patinato degli anni Ottanta in cui proprio non riuscivo ad identificarmi, coincideva con l‘oscillazione tra „Il mio canto libero“ ed „Il nostro caro angelo“. 

Nel mezzo, il grido strozzato di quei tristi giardini di marzo che dava voce ad un paradosso inspiegabile che mi toccava nel profondo. 

Ogni canzone del repertorio di Battisti mi riporta ad una situazione vissuta, ad un viso, ad un amico. Eravamo un gruppo di giovani universitari di facoltà diverse, fumavamo sigarette al chiuso e discutevamo di libri, di cinema, di ideologie politiche con la stessa naturalezza con cui parlavamo di noi e delle nostre storie personali. E finivamo sempre con il cantare, e anche in quel contesto le canzoni di Battisti erano un collante, mettevano d‘accordo tutti. Ogni preferenza di allora é oggi per me, riascoltandola, il nome di qualcuno che il tempo e la distanza mi hanno portato via. 

Mentre la vita allargava la quantità di esperienze e la mia curiosità mi spingeva a guardare ad altre culture e ad altre lingue, all‘orecchio risuonava il „dolcemente viaggiare, rallentando per poi accelerare“ che ora stavo realizzando. 

Tanti sono i testi in cui ritrovavo la mia inquietudine, che fosse fame gioiosa di vita o struggente malinconia, ricerca dell‘immenso o paura di perdere il senso di me stessa. Amavo quell‘aquila che non potrà mai diventare aquilone. 

La canzone che però più di ogni altra riusciva a verbalizzare ciò che io non riuscivo a dire, con un arrangiamento ed una voce che mi entravano nelle ossa, é proprio „Emozioni“.

E non so perché ho usato l‘imperfetto.

É una piccola opera d‘arte che si commenta da sola. Faccio fatica a parlarne perché é come aprire il mio diario segreto, pur sapendo che lo é per migliaia di altre persone. Il diritto di appropriazione é sancito nel ritornello, rivolto ad un ipotetico interlocutore: „capire tu non puoi“. (E non importa se i verbi all‘infinito richiamano ad una valenza universale).

Da piccola visualizzavo le strofe come fossero un libro illustrato e senza comprendere provavo, per la prima volta, il senso del mistero dell‘uomo. Via via, con gli anni, le ho incorporate tutte. In base al momento, una strofa prevale sulle altre, a volte si ricompongono tutte insieme. Perché un sentimento attecchisce nel profondo (non per nulla la parola ha una sonorità pesante) ma le emozioni fluttuano, sono dinamiche. 

Con il brano „Emozioni“ ho letteralmente cucito un‘unità didattica. Un‘intera lezione d‘italiano per un pubblico che non conosceva la canzone ed ignorava il suo autore. 

Non starò ora a descrivere i minuziosi passaggi che hanno caratterizzato il lavoro dei miei studenti e mio, ma vorrei soffermarmi un istante sull‘effetto finale che ha prodotto. 

Il brano era diventato ad un tempo patrimonio collettivo e privato anche per corsisti tedeschi. L‘atmosfera era un misto di commozione ed incanto. 

Tornando a casa, ero veramente una tempesta di emozioni. Mi sentivo come chi aveva appena compiuto una missione, dando una doverosa testimonianza al genio e alla sua opera. E allo stesso tempo sentivo una grande, inspiegabile voglia di „sdraiarmi, felice, sopra l’erba ad ascoltare un sottile dispiacere“ 

Tu chiamale, se vuoi, emozioni….

Stefania Bambace